The Gaming Wildlife Newsletter #1
Dopo tanti proclami finalmente riusciamo anche a pubblicare
Mi pare che avessimo cominciato a parlare di newsletter più o meno verso la fine del 2021. Un pensiero legittimo e dettato anche dalla sempre crescente diffusione di questo strumento come forma di editoria alternativa, se non sovversiva in alcuni casi. Un modo per cercare di distinguersi da un’informazione sempre più piegata a logiche aziendali che informative, soprattutto in un settore come quello videoludico che nasce come veicolo di marketing piuttosto che critica ragionata.
Abbinata al podcast, la newsletter di Gaming Wildlife vuole ampliare la rosa di argomenti che tratta, rendendolo un veicolo di informazione videoludica che non desidera vendervi nulla se non spunti di riflessioni su un panorama che cerca di nascondere dietro a trailer sbrilluccicanti e accolades eccezionali un’industria che lavora come tutte le altre, con problemi simili se non uguali e con criticità che riteniamo debbano essere affrontate se si desidera parlare di videogiochi come medium culturale.
Di luoghi che ne discutono come intrattenimento ce ne sono molte (probabilmente anche troppe), pertanto ci intrufoliamo anche noi dietro ad una barricata per cercare di affrontare argomenti più snobbati, considerati scomodi e noiosi nonché antieconomici. La cosa ci preoccupa relativamente, soprattutto perchè tra i mantra più ricorrenti “soldi e paura mai avuti” è indubbiamente nella nostra top ten.
Gaming Wildlife non ha mai avuto la pretesa di cambiare il mondo, mai la avrà. Sentiamo però la necessità di far sentire la nostra voce (e le nostre parole scritte) e continueremo finché ne avremo modo.
Se non vi piace God of War Ragnarök non moddatelo
di Francesco Paternesi
Mi è capitato di leggere tra le notizie videoludiche l’esistenza di una mod per la versione PC di God of War Ragnarök che sembra risolvere un bug di cui non mi ero assolutamente accorto, o al quale forse non ho dato peso perchè non pensavo ce ne fosse bisogno. Sarà perché non vivo di preconcetti, o forse perchè credo nell’evoluzione dell’uomo e di tutto ciò che lo circonda, arti incluse. Vorrei dire di essermi sorpreso nel leggere che il bug in questione non è relativo al gameplay del gioco o qualche problematica tecnica in particolare bensì una correzione cromatica di Angrboða, ma purtroppo non lo sono. Ammetto che non pensavo che qualcuno l’avrebbe fatto davvero, quello si, lo ammetto.
La realtà dei fatti è che non lo credevo possibile perché uno dei mantra di questi soggetti, dediti allo schiamazzo online parlando di una presunta dittatura del politicamente corretto, di inclusione forzata e altre robe che dicono persone tendenzialmente fasciste (ma non loro, paladini della libertà di espressione), è un simpatico haiku di matrice destrorsa che recita “Go woke, go broke”.
È una piccola filastrocca che molti si divertono a copiare ed incollare su ogni post dove si parla dei terribili attentati fatti nei confronti del videogioco moderno, aberrazioni come eliminare il maschile ed il femminile negli editor dei personaggi, riscrivere il passato/futuro realizzando bagni unisex e, come nel caso in oggetto, inserire in un gioco basato sulla mitologia norrena una gigantessa nera. La mitologia norrena, indubbiamente basata su fatti realmente esistiti. Non vi è dubbio alcuno che Angrboða si sia accoppiata con Odino e che abbia dato alla luce il lupo gigante Fenrir, il serpente che avvolge il mondo noto come Jǫrmungandr e Hel, futura regina dei morti che conferma come si parla tanto di merito, ma alla fine al governo ci vanno sempre i compagni di merende.
Posso capire benissimo che qualcuno ci creda, tra una risata di pancia e il pensiero che d’altronde abbiamo creduto a storie indubbiamente più credibili, tipo una donna che rimane incinta senza peccato. Tuttavia ho trovato l’esistenza di questa mod davvero disdicevole, non per le sue velleità spiccatamente razziste, semmai perché lo trovo un trucchetto davvero di bassa lega per giocare ad un gioco che, ad essere intellettualmente onesti, non andrebbe comprato.
La base del “go woke, go broke” si fonda sul fatto che il gioco non vada acquistato, men che meno piratato perché i suoi contenuti sono comunque pericolosi e potrebbero essere fonte di pensieri altrettanto dannosi come l’accettazione delle diversità, financo degli omosessuali e, orrore degli orrori, tutta la roba che ci sta in mezzo tipo trans, non binari eccetera. È davvero una roba svilente passare ore ed ore a parlare di come un gioco non rispetti l’accuratezza storica (!) relativa ad una gigantessa (!!!) e poi nascondere virtualmente la polvere sotto al tappeto con una modifica ad hoc.
Eh no, cari miei, non è così che si fa. A Roma quelli che agiscono così si astengono dalla lotta c’è un modo ben preciso per definirli, ma mi astengo dal dirlo apertamente perché non vorrei urtare troppo la vostra già fragile sensibilità. Però mi sento di ricordarvi che se credete davvero a ciò che dite dovete metterlo in pratica per bene, altrimenti la vostra battaglia perde pure quei pochi brandelli di reputazione che vi sono rimasti, una sorta di foglia di fico che somiglia tanto a quel “non sono razzista ma” che continua ad essere la maschera più triste che vi ritrovate nell’armadio, da indossare per sembrare persone per bene o per andare a comprare Assassin’s Creed Shadows sperando che qualcuno abbia fatto una mod per Yosuke.
L’articolo che segue è stato pubblicato su Stay Nerd il 31 marzo 2020. Abbiamo pensato di riproporvelo con modifiche minime per la prossimità con il tema di cui parlavamo oggi. Speriamo sia ancora di interesse!
Dall’archivio: Su God of War, Kratos e la misoginia
David Jaffe afferma su Twitter che Kratos non è un personaggio misogino. Ok, ma la questione è un po’ più complessa di così
di Luca Marinelli Brambilla
Tempo addietro David Jaffe, director del primissimo God of War, si mostrò molto risentito perché, a detta di molti “giornalisti” (virgolette sue), Kratos è una figura misogina, cosa che Jaffe negò solennemente, offeso. La questione ruota principalmente attorno ai vari minigame che rappresentano le avventure sessuali di Kratos, che spesso lo vedono coinvolto con più di una partner. Jaffe non nega che Kratos stia “usando” per scopi egoistici – leggi il suo semplice piacere – le donne con le quali ha rapporti, ma sostiene che questo non lo renda misogino, perché questi sono consensuali e anche le sue partner si divertono. Tutto giustissimo, per carità, chiaramente chiunque è libero di andare a letto con chi vuole, e avere rapporti sessuali senza ulteriori coinvolgimenti se non quello fisico è un sacrosanto diritto di tutti quanti, uomini e donne, purché sia ovviamente consensuale.
La questione dei giornalisti contro cui si lancia Jeffe è che questi, a suo dire, hanno utilizzato la misoginia (supposta o reale) dello Spartano mettendola in prospettiva con il nuovo corso del gioco avuto con il soft reboot uscito nel 2018. Dove sia il problema non è chiaro, né è chiaro perché se la prenda con i giornalisti. In fondo Kratos era evidentemente un personaggio negativo – io l’ho sempre trovato sgradevole – ed è chiaro come Santa Monica con il nuovo corso della serie abbia voluto cambiare il tiro. Già questo rende lampante la consapevolezza dello studio di sviluppo di chi era Kratos prima, e il buon risultato nella scrittura di God of War (2018) è dovuto anche, e forse soprattutto, alla capacità di prendere il materiale originale per quello che era e traghettarlo in modo intelligente in una nuova direzione. Non c’è, come dice lui, nessuna macchinazione da parte della stampa utile a “giustificare gli articoli” in prospettiva. È semplicemente così, ed è così evidente che non c’è neanche da spiegarlo.
Il punto, però, è un altro. Quello che non è chiaro a Jaffe è che il problema non è se Kratos fosse misogino o meno, ma che la rappresentazione che se ne è sempre fatta è quella machista, del maschio alpha che non chiede ma si prende tutto quello che vuole, come vuole, e questo è vero non solo in relazioni ai rapporti sessuali che ha nel corso del gioco, ma è applicabile a tutto quello che succede nei giochi precedenti al reboot. E ne era consapevole anche Cory Barlog.
Il punto cardine è la rappresentazione che si fa della storia o del personaggio, ciò che comunica e quindi i messaggi che veicola. E il messaggio che comunica God of War è quello di un protagonista sgradevole che però un po’ piace interpretare, perché è un maschione a cui gruppi di donne si lanciano tra le braccia al primo sguardo, e lui senza neanche tanto entusiasmo accetta, perché è poca cosa, abituato com’è. Un protagonista che si fa strada a suon di schiaffoni e decapitazioni. È un messaggio di mascolinità tossica, che può essere interpretato come semplice divertissement o come un messaggio sbagliato, e ognuna delle sue interpretazioni è corretta a modo suo, a seconda del peso che gli si vuole attribuire come giocatori. Come critici, invece, è fondamentale partire sempre dall’assunto che qualsiasi cosa ha un messaggio politico, nel senso più ampio del termine, e quindi farne un’analisi.
Andiamo un attimo nel dettaglio: come mai la rappresentazione del sesso in God of War è distorta, e in qualche modo misogina? Chiunque abbia giocato a God of War avrà notato, innanzitutto, l’aspetto delle donne con le quali Kratos si intrattiene: totalmente anonime nei lineamenti, caratterizzate caratterialmente solo dal loro improvviso interesse per il protagonista già dal primo sguardo e da corpi modellati sul più standardizzato canone che può avere appeal sugli uomini. Kratos, d’altra parte, ha come uniche caratteristiche il suo fisico scultoreo e il suo esprimersi a grugniti, metaforicamente parlando. È la rappresentazione standard della pornografia, né più né meno. C’è anche la questione peculiare del videogiochi, per cui il giocatore, “interpretando” il personaggio, diventa attore di questi atti, li porta avanti attraverso banali minigame, e ne viene addirittura ricompensato come avrebbe fatto aprendo una cassa!
La questione quindi non è se Kratos sia misogino, ma che lo studio di sviluppo ha scritto un gioco palesemente tarato per soddisfare un certo tipo di pubblico in un certo modo. Prima che qualcuno gridi “Eh ma la libertà d’espressione!”, sì, per carità, ognuno è libero di realizzare quello che vuole e raccontare quello che vuole, ma contemporaneamente chiunque altro è libero di non apprezzarlo. La libertà d’espressione che tanto viene difesa contro la (supposta) censura non è a senso unico, e il fatto che quello sia un germoglio creativo di un autore non lo libera dalle critiche, anzi il solo fatto di uscire in pubblico con una sua opera lo espone giustamente ad altri punti di vista, che non devono essere per forza in accordo con quello che lui voleva raccontare. Quella che viene chiamata censura è in realtà soltanto critica, e viene fatta a partire da qualsiasi opera dell’ingegno. La tesi comune sembra essere sempre che “i giornalisti non devono rompere i coglioni ai creativi”, che invece devono essere liberi di fare, scrivere e portare sui nostri PC e console quello che vogliono. Ma non è così che funziona. In qualsiasi ambito, se dici o scrivi una cazzata, qualcuno te lo fa notare, fa parte del rendere pubblici i propri pensieri o le proprie opere. E se da una parte è sacrosanto che i creativi facciano quello che vogliono, è altrettanto sacrosanto che qualcuno faccia critica sulle loro opere. Facile, no?
I problemi nella questione sono quindi molteplici, e non possono essere risolti con un tweet, come ha pensato di fare Jaffe, e non verranno risolti neanche da questo scritto. Anche perché c’è un’altra questione che Jaffe non ha pensato evidentemente di trattare, sbattendo solo i piedi e dicendo che non è vero che Kratos è misogino, e che invece è di fondamentale importanza nell’ambito critico di cui parlavo prima, ed è la prospettiva storica.
Qualsiasi cosa si voglia analizzare va messa in una prospettiva (sì David, pure God of War), e credo sia chiaro a tutti che il sentire e la sensibilità si sviluppino progressivamente e parallelamente ai processi storici. Nel 2005 non c’era alcuna attenzione rispetto a determinate tematiche, e questo è certamente il motivo per cui ancora oggi dobbiamo parlare di società patriarcale e della percezione che questa ci fa avere, spesso in modo subdolo, di determinate questioni, prime tra tutte quelle di genere. Il 2005 era l’altro ieri, storicamente parlando: nel 2005 non c’era questa sensibilità, i videogiochi avevano un target e un linguaggio diversi, erano in un certo senso meno maturi e meno consapevoli di loro stessi, soprattutto nel mercato più mainstream, dove si inserisce da sempre God of War. Il gioco è, per molti versi, solo figlio del suo tempo. E dire che, retroattivamente, il gioco portasse con sé una mascolinità tossica non è sbagliato, perché così è, ma contemporaneamente nel momento storico in cui nasce va collocato, e nella sensibilità di quel tempo va inscritto.
Tutto ciò parte da un tweet, in cui Jaffe se l’è presa perché i giornalisti hanno analizzato, giustamente, l’ultimo capitolo di God of War in relazione ai primi. Quello che è stato scritto, in soldoni, è che Santa Monica è stata brava ad adattare il personaggio alla sensibilità del 2018, partendo da una sensibilità più vecchia di 13 anni. Si tratta pure di un complimento!